Impero, moltitudini, esodo
Toni Negri
Intervento di Toni Negri nel dibattito alla facoltà di Lettere dell’Università ‘La Sapienza’ promosso dal Laboratorio Sapienza Pirata
Sono a disagio quando si considera la nascita del mondo globalizzato semplicemente come un dato effettuale, un espansione dell’impero che restava.
La globalizzazione, che parte in maniera definitiva nell’ ’89, non arriva solo dall’azione di un allargamento di un impero quando l’altro scompare, ma nasce da fenomeni storici maledettamente profondi. La globalizzazione è il punto di confluenza delle lotte operaie e proletarie, che non era più possibile regolare dentro lo spazio dello Stato-nazione. La dinamica lotte-determinazione di inflazione-regolamento dei conti statali-pressione sul welfare-rottura degli elementi materiali della costituzione borghese, hanno determinato man mano pirima una teoria dei limiti della democrazia (e stranamente troviamo lì lo stesso Huntington che scrive il ‘clash’ della civiltà, documento della Trilaterale degli anni ’70), poi una forte spinta al superamento dello Stato-nazione.
D’altra parte lo Stato-nazione non era solo la capacità di mantenere le lotte in una regolazione interna. Lo Stato-nazione era stato anche lo Stato imperialista, lo Stato colonialista; anche quest’aspetto con la metà del secolo scorso abbiamo la fine definitiva dei processi coloniali, la nascita di un nuovo mondo (che sarà chiamato ‘terzo’), in cui con la libertà, la pressione sul salario salta per aria il meccanismo che manteneva i prezzi delle materie prime. Proprio in nome di questa liberazione cominciano queste grosse pressioni della forza-lavoro su tutto, nella globalità. Per non parlare della crisi sovietica, che nasce in un momento preciso, quando si tratta di passare dal modo di produzione fordista al modo di produzione postfordista: un passaggio impossibile senza le libertà del lavoratore.
Questo movimento fortissimo è legato allo sviluppo della scienza, dell’educazione pubblica all’interno dei paesi socialisti, dove c’è la necessita di inserirsi in questo nuovo mondo. Un nuovo mondo in cui, appunto, cambia la natura della forza-lavoro, dei processi produttivi.
La globalizzazione nasce, quindi, come un elemento maledettamente positivo, è un segno di libertà, è un segno della forza dei processi storici che fanno saltare quella gabbia d’inferno che è lo Stato-nazione. Lo Stato-nazione, che ha fatto morire per secoli la gente nelle guerre più stupide, nelle trincee più assurde. Lo Stato-nazione, la cui ideologia non poteva che arrivare necessariamente ai forni di Auschwitz. Noi di fronte alla sua fine e di fronte alla liberazione delle forze proletarie del Terzo mondo abbiamo trovato questo formidabile passaggio: la globalizzazione. Finalmente! E’ chiaro che assumere questo passaggio non significa che il capitalismo è stato sconfitto. Il capitalismo assume questo passaggio, si riorganizza a questo livello, ed è qui che nasce la problematica dell’Impero. Badate bene, l’Impero nasce in maniera diversa dalla pura e semplice espansione dello Stato-nazione USA. Gli americani in tutta questa storia, soprattutto nella prima fase, c’entrano pienamente, ma c’entrano molto più come centro ed apice del capitalismo mondiale che come forza statuale. E’ il capitale colettivo che viene investito in un primo momento dell’organizzazione di questo mondo. Fra gli anni ’80 ed i ’90 si incominciano a cercare forme di governo. L’ONU non serve a questo, perchè dentro le Nazioni Unite si rivela il paradosso della democrazia mondiale: a livello mondiale ‘un uomo un voto’ è una frase insensata. Vorrebbe dire, come scherzano alcuni teorici, dare alla Cina la maggioranza imperiale. Quindi al problema dell’organizzazione si risponde con l’invenzione di una forma di sovranità diversa.
La sovranità, che gli Stati-nazione non riescono ad organizzare in forma diversa, viene trasferita sempre di più verso quelle che sono le istituzioni nascenti, che man mano vengono formandosi, e amn mano vengono identificate a livello mondiale: il G8, il Fondo Monetario Internazionale, eccetera. Sono, in fondo, organizzazioni che erano state inventate per la gestione del keynesismo internazionale alla fine della seconda guerra mondiale, ma divengono organismi di mediazione del capitalismo, di regolazione capitalistica a livello mondiale. Questo processo, evidentemente, diventa sempre più difficile, perchè sposta una serie di conflitti dall’interno dei paesi sulla scena mondiale. Il ricomporsi delle lotte sulla scena mondiale, avvenuto negli anni ’80-’90, è stato assolutamente formidabile. Avevamo avuto delle lotte importanti (da Tien-a-men alla Corea, dall’Indonesia a Los Angeles, dal Chiapas alle lotte di Parigi del ’95), che avevano ormai identificato il potere mondiale capitalistico come avversario. Erano però lotte scomposte, non costituivano un ciclo, non riuscovano ad avere quella massa d’urto che solo delle lotte unite, che parlano lo stesso linguaggio, riescono ad avere.
Tutto questo nasce con il movimento di Seattle, che riesce ad opporsi al potere imperiale nello stesso momento in cui esso si dà. E abbiamo quindi un ciclo di lotte, che seppure ancora superficiale e con tutti i suoi limiti, viene percepito dall’opinione pubblica internazionale capitalista come un movimento di estrema pericolosità, nel formarsi del’Impero. A questo punto si deve decidere che cosa fare. Una delle cose da evitare è il considerare la nazione americana come un nuovo stato imperialista, non è semplicemente questo! C’è anche questo elemento ma l’unità del ceto capitalistico oggi è assolutamente fondamentale. Non c’è più la possibilità di rivolgersi allo Stato-nazione per opporsi alla nazione americana.
Le elites degli antichi Stati-nazione sono stati cooptati in maniera massiccia verso il vertice dell’Impero. Gran parte delle discussioni nella seconda metà degli anni ’90 che attraversa la gestione delle guerre in USA riguarda la possibilità che la capacità capitalistica intervenga in maniera diretta e forte sulla riorganizzazione dell’Impero e del nuovo ordine mondiale ed assumere un’accelerazione di questo processo. Da qui viene fuori tutta la tematica dell scudo spaziale, che diventa una grossa mediazione rispetto alla necessità di determinare il nuovo ordine. Si tenta di creare, come in un quadro bizantino, un centro protetto (gli USA e gli stati occidentali) in cui si mostra l’accumulazione del potere. Tutto questo, l’ultimo tentativo di tenere fuori il resto del mondo, salta l’11 settembre. E quindi la guerra. Ma quale guerra? Come si fa fare una guerra senza un ‘fuori’? Ed ecco la guerra come ‘polizia’ La scienza della guerra americana stava sviluppandosi da un lato attorno allo scudo stellare e dal’altro attorno alla trasformazione dell’esercito in truppe di facile utilizzazione e di immediate possibilità di spostamento nel mondo.
L’esercito americano doveva diventare un esercito di marines. Ora ci troviamo di fronte a quella che è un’accumulazione di tutti gli strumenti tecnologici, diplomatici, economici, finanziari, di polizia, per l’organizzazione di questo mondo globale. Un mondo globale in cui finora sembrava essere assente l’azione del ‘grande governo’. ‘Big government is over’, si diceva, mentre ora si dice ‘big government is back’. Questa grande funzione di governo processuale, di ‘governance’ cioè di azione amministrativa continua che supera in sè qualsiasi fissazioine giuridica precedente. Questo dinamismo che confonde definizione della regola e garanzia di questa, che fa dell’esercito lo strumento giuridico, lo strumento costitutivo. Questo è quello che sta avvenendo.
Noi abbiamo oggi una maturazione che già da alcuni anni poteva essere largamente prevista. Nessuno avrebbe potuto naturalemte prevedere la causa prossima di questo processo, ma che il processo dovesse andare in questi termini era abbastanza evidente perchè seguiva le regole funzionali dello sfruttamento, dell’explotation, a livello globale. Bisognava inventare un modello altrettanto efficace quanto lo erano stati gli Stati-nazione, quanto lo era stato il diritto internazionale pattizio. Bisognava inventare degli altri strumenti. Se si guardano le teniche di riorganizzazione costituzionale che si stanno attuando per dare risposta a questa grande crisi, è evidente che si tratta di resistere. Ma resistere come? Resistere dove? Resistere dal punto di vista della nuova società mondiale dei lavoratori , dal punto di vista della mobilità. Cercheranno di bloccare la forza-lavoro nei suoi movimenti, ma nessuno ci riuscirà. Bisogna resistere allle nuove gerarchie che verranno imposte, bisogna farle saltare. Ma c’è ancora la possibilità di lottare in un mondo siffatto o non vale la pena veramente di disertare in tutti i sensi. Disertare col sapere, nell’esercito, nella forza-lavoro intellettuale. E dà lì che bisogna partire. Dei miei amici dicono: ‘contro l’arte della guerra, l’arte della diserzione’.
Il mantenere uno stato di paura e formarlo in termini hobbesiani, come diceva Ferrajoli, sarà per loro molto difficile. Ma sarà molto difficile solo nella misura in cui non ci si fa più ‘popolo’, si resta ‘moltitudine’. E’ una moltitudine intelligente che si è riappropriata il lavoro è che non ha più bisogno del capitale. Noi non possiamo più diventare popolo. sovranità, non ha più senso a livello di globalizzazione.[…]
Diserzione o conflitto? Io non sento la questione in termini alternativi. Questa forma nuova di sovranità globale porta con se un investimento dei modi di produzione e soprattutto di riproduzione della vita e della società, per questo insistiamo nel qualificare come biopotere il potere imperiale e come tessuto biopolitico quello della vita e del lavoro. Il lavoro ormai è diventato un tessuto sociale, in cui vita, formazione, lavoro salariato, la comunicazione, cooperazione sociale, vengono sfruttati. E’ su questo sfruttamento globale della vita che si svolge il biopotere. E’ qui che noi ci troviamo di fronte alla diserzione, o, meglio, all’esodo. Non c’è più la possibilità del sabotaggio classico, o di un rifiuto luddista, perchè ci siamo dentro. Oggi il lavoratore lo strumento di lavoro se lo porta in testa, come fa a rifiutare o a sabotare il lavoro? Si suicida? Il lavoro è la nostra dignità.
Il rifiuto del lavoro era immaginabile in una società fordista, oggi diventa sempre meno pensabile. C’il rifiuto del comando sul lavoro, che è tutt’altra cosa. Qunado si dice esodo si tratta di riuscire a costruire delle nuove forme di vita. Questo tipo di società capitalista diverrà istituzionalizzata violentemente attraverso dei meccanismi costituenti di guerra. Noi non la vogliamo più! Non si può andare a manifestare contro il G8 dicendo ‘un altro mondo è possibile’ e poi non praticare collettivamente un esodo. Un esodo inevitabilmente conflittuale, perchè ti verranno a imporre di obbedire. Ma dobbiamo porre la questione in questi termini. Io capisco l’idealismo costituentte, giuridico, illuminista, bellissimo di Ferrajoli. Ma lo capisco solo in base a questa radicalità di scelta. Se mi costringete a reinventarmi la democrazia, io non ci sto. Ne ho abbastanza di una democrazia che calzava perfettamente al capitalismo. Oggi non calza più, perchè il potere non può essere riprodotto globalmente nella stessa forma e sugli stessi criteri di profitto che operavano a livello nazionale e quindi si fa la guerra. Un guerra che fa ad incidere sul quotidiano. Questa della guerra batteriologica è una terribile parabola, una metafora di quello che sta diventando il Potere. E’ su questo terreno che vale la pena di parlare dell’Impero.
Io e Hardt forse abbiamo usato un metodo un po’ meccanicistico nel tradurre lo schema operaista sul livello internazionale, ma la soddisfazione è stat quella di trovare sulle nostre posizioni tutta la letteratura postcoloniale. Tutta la grande scuola indiana funziona in questi termini!!!
Il concetto di moltitudine: dal punto di vista scientifico è un concetto certamente ancora primario, che si lancia per vedere se funziona. Ma quando per qualificare il nuovo proletariato si parla di moltitudine si parla di una pluralità di soggetti, di un movimento nel quale operano singolarità cooperanti. C’è una differenza abissale dal concetto di classe. La moltitudine lavora, è completamente sfruttata, ma si mette assieme attraverso la rete, i collegamenti, la cooperazione, il linguaggio. La moltitudine ha una molteplicità produttiva, costituente, tutti elementi che possono anche essere riferite a categorie marxiane classiche: alla modificazione della forza-lavoro nella sussunzione reale, nel passaggio alla produzione del general intellect. Il concetto di moltitudine viene quindi usato come uno strumento, ma quale può essere la sua rilevanza politica? Su questo terreno credo che stiamo vivendo una enorme accumulazione primitiva a livello mondiale. Per dare un immagine diquello che sta succedendo dal punto di vista della soggettività, non abbiamo che le immagini del materialismo primitivo lucreziano: c’è un grandemovimento di particelle, atomi, singolarità che si mettono assieme e costruiscono qua e là. E’ chiaro che questa nuova carne del proletariato deve diventare corpo, e può diventare corpo solo sulla base di un theos sulla base di un’autorganizzazione che la fa finita con la democrazia ma anche col socialismo, con le forme di gestione democratica o socialista del capitale.
Non è certamente un orizzonte piacevole quello nel quale ci troviamo. Mi sembra che la guerra nella quale stiamo entrando sia molto più simile alla guerra dei trent’anni e ai suoi massacri, un asorta di stato di natura, quel tipo di scenario lì. Questo motore di costituzione che l’Impero assume e chiama guerra produce catastrofi.