Un punto de encuentro para las alternativas sociales

Le nostre banlieus

Emergenza del sociale e periferie della politica
Il sociale sta vincendo sul politico?
Un dibattito e una ricerca da approfondire e condividere

Mercoledi 15 dicembre a Roma presentazione e dibattito sull’ultimo numero di Contropiano
(al centro sociale Intifada, via Casalbruciato 15)

L’inserto dell’ultimo numero di Contropiano ha cercato di aprire un confronto ed una ricerca su quella che riteniamo essere l’emergenza del sociale a scapito del politico soprattutto nelle periferie delle grandi aree metropolitane.
Il dibattito apertosi in alcuni centri sociali romani dopo l’accoltellamento mortale di un giovane attivista avvenuta questa estate, l’escalation (o meglio l’endemicità) di violenza sociale nelle periferie di Napoli, le rivolte nelle banlieus francesi,  hanno cominciato a porre una serie di questioni importanti e sulle quali occorre riflettere e discutere più in profondità.

Nelle aree metropolitane delle grandi città, si stanno diffondendo fenomeni aggregativi che supera, copre e stravolge le precedenti forme di aggregazione giovanile.
Quanto sta accadendo nelle banlieus in Francia, ma anche nelle periferie delle nostre aree metropolitane, ci sta’ ad indicare come la «cultura della strada» ed il comportamento «sociale» stia prevalendo, sostituendosi sempre più, alla forma che consideravamo più vicina alla nostra comprensione, o almeno ad una sua possibile espressione «politica».
Le odierne pesanti ristrutturazioni produttive e sociali, hanno sottoposto in interi segmenti di classe una progressiva eliminazione, delocalizzazione e ridimensionamento delle loro identità e delle loro articolazioni socio-abitative.
Tutto ciò ha reso possibile che si affermassero nelle aree metropolitane settori sociali sempre più impoveriti e soprattutto privi di una identità.
Assistiamo dunque ad un fenomeno nel quale:.»I giovani tendono ad aggregarsi nel tradizionale istituto della banda di strada, basato sulle classi di età, sull’evitare l’altro sesso, sull’unità territoriale e la solidarietà etnica. Quando la libertà individuale diventa lo slogan dietro cui si mobilitano le masse, vuol dire che lo scenario è cambiato. La libertà va valutata sulla base delle azioni, non delle ideologie  «L’espansione dei bisogni non coincide con l’incremento del reddito. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ovvero, la classe dominante controlla la produzione della merce ma è impotente di fronte all’evolversi ed al moltiplicarsi dei suoi valori d’uso.
Segnali di un possibile risveglio li abbiamo avuti dalla funzione, fin qui svolta, da quanti hanno messo in piedi l’esperienza dei Centri Sociali. che nella possibilità di creare «forme nuove» di lavoro e di socialità, hanno coinvolto settori soprattutto giovanili. Ma lo sviluppo delle ultime vicende ha però messo in evidenza il «cinismo» di una classe politica interessata più al loro tornaconto personale (anche economico).
La politica, come espressione di conflitto sociale collettivo e organizzato verso il sistema dominante in tutti i suoi aspetti, oggi è stata espulsa o rimossa quasi completamente fino a trovarsi, come questa estate a Roma o a Napoli di fronte ad una prevalenza della dimensione sociale sulla politica, dove sono venute meno alcune delle «classiche» categorie per cercare di capirne la portata.
In questa fase abbastanza contraddittoria, confusa e delicata può accadere che: il «sociale vinca sul politico!» In pratica di fronte ad una assenza, o debolezza, di una indicazione politica di superamento dell’attuale forma economica e socio-produttiva (alla quale far seguire anche una possibile ipotesi ricompositiva), ciò che prevale è una sorta di cultura di strada.
Ovvero quella cultura alla quale e nella quale, sono cresciuti e conformati i giovani di oggi.
A questo va senz’altro aggiunto l’enorme aumento della emarginazione e marginalità sociale; dovuta innanzitutto alla massiccia immissione di immigrazione, e relativa mano d’opera molto economica e competitiva, che da anni interessa la società occidentale, soprattutto nelle grandi città.
L’attuale classe dirigente è molto interessata allo sfruttamento selvaggio di questa mano d’opera a basso costo e pertanto riempie le periferie di questi lavoratori senza tenere conto delle contraddizioni che queste migrazioni possono produrre.
Da parte istituzionale e governativa, riemerge la tentazione di affrontare la contraddizione con la solita politica repressiva e diffamatoria. Chi protesta e disturba il governo «amico», viene accusato di non tener conto dell’interesse generale, di pregiudizi ideologici e di voler solo scatenare il caos e l’ingovernabilità, riconsegnando così il paese al berlusconismo.

Una conferma di tutto ciò possiamo trovarla in Jean Baudrillard, quando ci propone:
«.una lettura fuori dagli schemi della nostra complessa realtà. .denuncia la follia di un universo politico-tecnologico che ci sta sfuggendo di mano,
– un vorticoso turbine di immagini, in cui il virtuale si sostituisce sempre più spesso al reale. il potere.è quasi autistico
– è un potere fine a se stesso che si identifica solo con il proprio dominio, senza dialogo e senza relazione con il mondo esterno.
– è un potere talmente ottuso che porta in sé il principio della propria sovversione.
– è talmente tronfio e pieno di sé che ad un certo punto perde il controllo e implode.
– Si mette a nudo, svela la propria maschera, si autodistrugge.
– Si è inceppata la dialettica tradizionale che negli ultimi cinque secoli ha animato la politica, vale a dire la dialettica tra il popolo e chi governa nelle sue diverse forme.
– il potere non comunica più.
– E’ totalmente egocentrico e autocentrato, si autoalimenta e si autogiustifica.
– Rappresenta solo se stesso e si sfinisce nella propria autoproduzione.
– procede per espulsione, escludendo qualsiasi elemento esterno che rischia di rimetterlo in
discussione»
– ammette solo l’immagine virtuale che vuole dare di sé.
– La corruzione e la perversione diventano allora le regole simboliche del potere»

Dunque, un obiettivo delle classi dirigenti è proprio quello di scatenare una «guerra tra poveri» per continuare così a perpetuare il proprio dominio a colpi di misure securitarie e di polizia che precedono e accompagnano misure economico-sociali sempre più draconiane.

Il nostro compito sarebbe quello di ostacolare questo percorso. Garanzie di riuscita in società «imperialiste» come la nostra non ve ne sono, ma l’importante è provarci per trovare una lettura e una azione politico-sociale adeguata a rappresentare il conflitto sociale in questa fase.

la redazione di Contropiano

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